Gipi e i suoi Bruti, fra gioco e narrazione

Da Wired, 29 ottobre 2015

Stavo vincendo, giuro. Poi la legge ci ha interrotto.

Stavo vincendo, giuro. Poi la legge ci ha interrotto.

Seduti al tavolo di un ristorante, dopo aver mangiato e chiacchierato, arriva il momento di sfoderare le carte. Spostiamo tovaglioli, tazzine e bicchieri per lasciare spazio a quella che presto diventerà la Fossa, nella quale io e Gianni Pacinotti, in arte Gipi, manderemo due guerrieri a scontrarsi. Sto per sfidarlo a Bruti, il gioco che lui stesso ha ideato, sviluppato e disegnato, e che verrà presentato giovedì 29 al Lucca Comics & Games. Fino al 1 novembre sarà disponibile in preordine sul BrutiShop, dopodiché verrà distribuito nei negozi da Asterion Press. Sono uno dei 1216 che hanno supportato il crowdfunding che ha consentito la realizzazione del gioco e sono impaziente di vedere da vicino le carte che lo compongono. Le osservo mentre Gianni prepara i mazzetti: volti segnati, sguardi minacciosi, teschi, lame e sangue. La domanda viene spontanea: perché un gioco di bruti che si massacrano in un’arena?

(Immagine: Bruti TM & © 2015 Rulez Srl. Tutti i diritti riservati)

Prepariamoci alla Fossa.

“Il fatto è che io adoro la violenza. Non ci posso far nulla” mi spiega. “La temo e la detesto, però sono cresciuto in un ambiente discretamente violento e ne sono rimasto affascinato. In realtà è soprattutto la morte ad affascinarmi, e la violenza è un punto di contatto fra vita e morte”. Mentre parla mi sta mostrando il mazzo dei danni, le cui carte rappresentano varie condizioni invalidanti che limitano la forza del guerriero. Una di esse è proprio la morte, teschio su fondo nero.

“Pensa che i designer che faranno la versione americana di Bruti non volevano questa carta, perché ai loro giocatori l’idea di poter essere eliminati in maniera così immediata e brutale non piace” mi racconta. Il che mi stupisce, visto che gran parte dei giochi da tavolo americani sono incentrati sul combattimento. “Però a me questa meccanica piace perché ogni personaggio, anche il più debole, è sempre in condizione di poter assestare un colpo fortunato e vincere” continua Gianni. “E anche perché volevo un gioco dinamico, teso, che non durasse troppo e che ricreasse la tensione di uno scontro all’arma bianca”.

(Immagine: Bruti TM & © 2015 Rulez Srl. Tutti i diritti riservati)

Ciao. Hai perso.

Bruti è il frutto di circa due anni e mezzo di lavoro, più di 300 disegni e una campagna di crowdfunding tanto faticosa quanto ben riuscita. Quando elogio il modo in cui l’hanno gestita, Chiara, la moglie di Gianni, sorride. “Pronto Bruti ringrazia! Fa piacere sentirselo dire dopo tutto quel lavoro. La campagna e la pagina Facebook sono state portate avanti soprattutto da Gianni e da Massimo Colella, che si occupa della comunicazione worldwide di Bruti per conto della Bande Destinée, la sua agenzia di comunicazione specializzata in illustrazioni e fumetti. È stata una divertentissima faticaccia”. Una faticaccia che ha consentito di raccogliere più di 68 mila euro, quasi tre volte la cifra che avevano chiesto per finanziare il gioco. “Negli ultimi giorni della campagna sono impazzito” racconta Gianni. “Mi sentivo in dovere di ripagare tutta la fiducia e l’entusiasmo dei fan aggiungendo materiali al gioco, da nuove carte al sacchetto di lino alle buste protettive. E così mi sono rovinato”.

Però si vede che si è divertito. Lo si intuisce dal modo in cui mi spiega le regole e in cui si prepara all’ennesimo combattimento a colpi di carte. “Sì, me lo sono proprio goduto questo gioco” mi conferma. “Sai, scrivere storie a fumetti per me è un’attività drammatica. Ci soffro sempre, ogni volta è un travaglio, ma con Bruti è stato diverso, perché ho recuperato quella parte giocosa di me che ho spazzato via tempo fa”. Mi racconta di quando, da ragazzo, è rimasto stregato da Tolkien e ha iniziato a giocare a Dungeons & Dragons. “Pesavo sessanta chili bagnato e volevo vivere in un mondo in cui potevi andare in giro con uno spadone a uccidere orchi. Già allora ero attratto dalla violenza, come tutte le mezze seghe. Poi però ho deciso che nella vita volevo raccontare storie e allora la fantasia è diventata una nemica, perché volevo imparare a vedere il mondo in cui stavo senza bisogno di un vestito sovrannaturale o eroico”.

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