Uomini e orsi

Da Il Tascabile, 10 ottobre 2017

Due aggressioni, una quest’estate e una nel 2015, confermate dalle analisi scientifiche. Considerata un soggetto pericoloso, è stata catturata e poi abbattuta ad agosto. Com’era prevedibile, la morte dell’orsa KJ2 ha sollevato un’accesa discussione, creando divisioni anche molto polarizzate nell’opinione pubblica.

Ugo Rossi, presidente della provincia di Trento e firmatario dell’ordine di cattura e abbattimento, si è appellato alla necessità di garantire la sicurezza dei residenti e dei tanti turisti che nelle vacanze estive visitano i boschi trentini. Chi l’ha contestato ha fatto notare che in entrambi i casi KJ2 era con i cuccioli – il che renderebbe il suo comportamento aggressivo una normale reazione di difesa della prole – e alcuni sostengono addirittura che nell’ultimo incidente sia stato l’uomo ad attaccare per primo con un bastone.

Due diverse posizioni all’interno delle quali non potevano mancare le solite esagerazioni, da una parte e dall’altra; da quelli che eliminerebbero qualsiasi animale che possa anche solo disturbare le attività umane, a quelli che “gli animali hanno sempre ragione”. Simili semplificazioni hanno vita facile nel conquistare titoli di giornali, servizi televisivi e popolarità sui social, ma di certo non rendono conto delle tante sfaccettature del rapporto fra uomo e orso, e della complessità della sua gestione.

L’orso è un animale iconico, protagonista di storia e leggende, amato dai cartoni animati. Compare sulle bandiere di città come Berlino e Berna, e di stati come la California, e fin dal Sedicesimo secolo è una delle più comuni rappresentazioni nazionali della Russia. Simbolico per la sua potenza, ma anche per il suo carattere refrattario.

“L’orso, così come il lupo, è uno dei tasselli fondamentali della natura alpina”, afferma Filippo Zibordi, zoologo ed esperto di grandi carnivori, autore del recente Gli orsi delle Alpi per Blu Edizioni. “È un animale schivo, che vive a basse densità e che è giusto tenere a distanza dall’uomo. Non è una bestia feroce ma neanche un tenero peluche. Anche per questo la sua gestione non è facile.” Zibordi gli orsi li conosce bene: ha lavorato per 13 anni a Life Ursus, un progetto avviato nel 1996 con il supporto economico dell’Unione Europea per tutelare la presenza dell’orso bruno nelle Alpi Centrali.

Promosso dal Parco Naturale Adamello Brenta e condotto in stretta collaborazione con la Provincia Autonoma di Trento e l’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica (l’attuale ISPRA), il progetto ha individuato, grazie a uno studio di fattibilità, circa 2000 chilometri quadrati di ambienti idonei alla presenza dell’orso in un’area che comprende parte delle province di Trento, Bolzano, Sondrio, Brescia e Verona. I primi due esemplari, catturati nella Slovenia meridionale, sono stati liberati nel 1999, e nei tre anni successivi sono stati introdotti altri otto individui. Tutti gli orsi rilasciati sono stati dotati di un radiocollare e di due marche auricolari trasmittenti, per monitorarne gli spostamenti. Oltre alle valutazioni di natura ecologica, è stata esaminata anche l’attitudine di chi, con gli orsi, avrebbe dovuto convivere.

“Prima del rilascio, oltre a verificare la fattibilità scientifica del progetto, è stata anche sondata la sua percezione pubblica da parte dei residenti con un sondaggio d’opinione”, spiega Zibordi. “Più del settanta per cento di loro si è dichiarato favorevole alla presenza dell’orso. Un secondo sondaggio è stato fatto nel 2004, dopo il rilascio dei dieci esemplari, con risultati paragonabili. Nell’ultimo sondaggio però, quello del 2010, le percentuali sono state ribaltate: solo il trenta per cento circa dei residenti era ancora favorevole alla presenza dell’orso”.

L’orso è onnivoro. Anzi, per dirla meglio è un onnivoro opportunista abitudinario. Si nutre di carne, certo, e non sono mancati casi di orsi che attaccano una pecora per nutrirsi. Non è però un cacciatore efficiente come il lupo e non di rado la carne se la procura dai cadaveri di altri animali. È un grande consumatore di frutta, mais e, come da stereotipo, è irresistibilmente attratto dagli alveari. Non solo per il miele, però, di cui comunque è molto ghiotto: anche le larve delle api sono una parte importante della sua alimentazione.

Non è raro quindi che un orso – soprattutto quando deve accumulare risorse prima di andare in letargo – esca dai boschi e si avvicini agli insediamenti umani in cerca di cibo. Magari si limita a rovistare nei cassonetti della spazzatura, ma può anche creare danni agli alveari non protetti da recinti elettrificati, ai campi di mais o alle piante da frutto, oppure al patrimonio zootecnico (soprattutto ovini). Ed essendo abitudinario, se procacciarsi il cibo in queste maniere si rivela pratico, tenderà a farlo di nuovo. Se poi il numero degli animali aumenta – all’epoca del primo sondaggio, nel 1997, ce n’erano solo due esemplari, mentre nel 2010 erano circa una cinquantina – ecco che il rapporto rischia di diventare sempre più complicato.

Soprattutto se entrano in gioco le strumentalizzazioni.

“Negli ultimi anni sono aumentate le interrogazioni al consiglio provinciale e l’orso è diventato un argomento politico, tanto che ci sono stati addirittura alcuni partiti che l’hanno inserito nei loro programmi elettorali, accanto a temi come immigrazione e sanità”, racconta Zibordi. “Chi doveva in qualche modo difenderlo, e cioè l’amministrazione pubblica, ha capito che il tema era scottante e si è tirato indietro, lasciando un grande vuoto comunicativo. Ed è proprio questo fallimento della comunicazione istituzionale ad aver lasciato campo libero a strumentalizzazioni di ogni sorta.”

Poco importa se i danni provocati dagli orsi in Trentino – interamente indennizzati dallo Stato – sono poca cosa in confronto a quelli provocati, per esempio, da cinghiali e altri ungulati in Toscana. La forza simbolica dell’orso e la sua posizione nella catena alimentare conferiscono alle sue azioni una forte carica emotiva. Un incidente che lo riguarda non è qualcosa che può lasciare indifferenti.

Ed è proprio qui che l’assenza di una corretta comunicazione da parte delle istituzioni si fa sentire.

Un errore che non è stato commesso da chi gestisce l’altro grande nucleo di orsi italiani: quello dell’Appennino Centrale, soprattutto all’interno del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise.

“Qui si fa un’intensa attività di comunicazione sui ritmi biologici dell’orso e sul comportamento da adottare nel caso di un incontro, e finora non ci sono stati casi documentati di aggressione all’uomo”, spiega Dario Febbo, già direttore del Parco. “L’orso marsicano potrebbe essere una sottospecie a sé stante di orso bruno, verosimilmente derivante da popolazioni alpine, dalle quali è rimasta isolata 700-1000 anni fa o forse più. In questo arco temporale si è adattato all’ambiente appenninico e alla presenza dell’uomo in queste zone.”

C’è stata insomma una sorta di coevoluzione fra le due specie, che ha portato a una reciproca tolleranza. Ciò ha consentito la sopravvivenza dell’orso, la cui presenza è stimata intorno ai sessanta esemplari, il novanta per cento dei quali vive nel Parco e nella sua zona di protezione esterna.

L’orso marsicano era piuttosto diffuso in centro Italia nei secoli passati”, continua Febbo. “Ci sono documenti storici che attestano la sua presenza in Calabria o che parlano di cosciotti d’orso venduti nel Trecento nei mercati di Firenze, ma nel corso dei secoli è stato perseguitato e braccato, finché ha trovato il suo areale di rifugio nell’area del Parco e delle zone limitrofe. E questa è stata la sua salvezza. Se si chiede dell’orso a un vecchio pastore abruzzese, ti risponde che se anche mangiava una pecora ogni tanto, gli spettava in quanto padrone della foresta.”

Dunque, la persecuzione dell’orso non veniva in genere perpetrata da chi viveva il territorio e aveva imparato a convivere con questo animale. “Gli orsi sono sempre andati a mangiare mele e pere negli alberi intorno ai villaggi del Parco. Era un fatto considerato normale e quindi anche tollerato”, racconta Febbo. “Oggi invece un fatto del genere suscita un clamore esagerato, soprattutto attraverso i social network, tanto che le persone che non vivono nel territorio dell’area protetta si stupiscono e si fanno un’idea sbagliata della situazione.”

Un problema, questo, comune alla situazione trentina, che porta facilmente a commenti e prese di posizione che poco hanno a che fare con la realtà del rapporto fra uomo e orso, tanto sull’Appennino quanto sulle Alpi.

“L’opinione pubblica si è schierata a favore o contro l’uccisione di KJ2, così come aveva fatto con Daniza nel 2014. Ma nella maggior parte dei casi si è trattato di commenti distanti dal problema vero. Personalmente ritengo che sia stato giusto rimuovere KJ2, ma quella scelta doveva essere preceduta e seguita da tutta una serie di decisioni che invece non sono state prese”, commenta Zibordi. “Il punto è che nella gestione del rapporto fra uomo e orso deve esistere una sorta di patto sociale, che privilegi l’incolumità pubblica. In Trentino gli orsi non possono fare tutto quello che la loro etologia gli consentirebbe, visto il livello di urbanizzazione dell’area. Ma non possiamo neanche permetterci di perdere la loro popolazione, vista la grande importanza che rivestono nell’ecosistema trentino. Si tratta quindi di lavorare per salvaguardare il loro habitat riducendo le possibili fonti di attrito con l’uomo.”

La gestione dell’orso non è un problema soltanto italiano. In Slovenia, luogo di origine degli esemplari con cui è stato ripopolato il Trentino, ce ne sono circa 500. In Croazia, il loro numero si avvicina addirittura al migliaio, e infatti la caccia da trofeo, sebbene fortemente regolata, è consentita. Ma i cacciatori, italiani, sloveni o croati che siano, non sono un problema. Anzi, in ciascuno di questi paesi le loro associazioni hanno spesso collaborato con le istituzioni nello sviluppo di progetti condivisi e nel monitoraggio degli animali.

“In Slovenia, negli anni ’50 e ’60, i cacciatori hanno dato un grande impulso alla protezione dell’orso, così come a quella del lupo e della lince”, spiega Tomaž Skrbinšek, ricercatore in ecologia molecolare all’Università di Ljubljana. “Molti di loro ci hanno aiutato nella raccolta di materiale biologico per le analisi genetiche.”

Skrbinšek partecipa ai lavori di Life DinAlp Bears, una collaborazione fra Slovenia, Croazia, Austria e Italia finalizzata alla gestione e alla conservazione dell’orso bruno nella parte settentrionale dei monti dinarici e delle Alpi. Finanziato dalla Commissione Europea, il progetto ha fra i suoi obiettivi l’incoraggiamento dell’espansione naturale dell’orso bruno, l’analisi delle barriere fisiche e sociali a tale espansione, e la promozione della coesistenza con l’uomo. “Una delle possibili soluzioni è di impedire agli orsi di raggiungere fonti di cibo antropogenico, per esempio usando bidoni della spazzatura fatti apposta per essere loro inaccessibili, oppure proteggendo gli alveari con apposite reti elettrificate. Un’altra è lo sfruttamento delle carcasse degli animali uccisi per strada come una possibile fonte alternativa di proteine”, conclude Skrbinšek.

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