Fantascienza e progresso

Da Il Tascabile, 23 gennaio 2018

n un futuro non troppo lontano, la Cina potrebbe raggiungere Marte e diventare la prima nazione a conquistare la faccia nascosta della Luna, al punto che, secondo Nature e Scientific American, si avvia a diventare una vera e propria superpotenza spaziale. Da sola, copre un quinto degli investimenti globali in ricerca e sviluppo, ha i due supercomputer più veloci del mondo, sta progettando la costruzione di un acceleratore di particelle due volte più grande del CERN e potrebbe superare gli Stati Uniti nella leadership mondiale della ricerca scientifica.

Parallelamente, il governo cinese sta creando diversi progetti di divulgazione e promuovendo lo sviluppo della letteratura di genere. Così, negli ultimi anni, la fantascienza cinese ha finito per catturare l’attenzione globale, arrivando a vincere alcuni fra i più prestigiosi premi del settore. L’immaginazione come supporto per creare conoscenza, la letteratura come ponte fra il presente e il futuro del paese. Si sta davvero saldando, in Cina, la relazione fra scienza, fantascienza e progresso?

Per capirlo, bisogna fare un passo indietro.

Ritorno all’utopia
“Con lo sgancio delle bombe il trascendente s’era fatto reale”. Con queste parole gli scrittori Alexei e Cory Panshin descrissero l’impatto di Hiroshima e Nagasaki sulla fantascienza. I coniugi Panshin non furono i soli ad associare il lancio delle atomiche alla fine della cosiddetta Golden Age della letteratura fantascientifica, un genere che, prima del 1945, era “wild and free” – come disse in seguito Isaac Asimov, che di quell’era dorata fu uno dei principali esponenti – ma che dopo quell’anno si dovette confrontare con le conseguenze dello sgancio di Little Boy e Fat Man.

Parallelamente, finita la guerra ebbe inizio quella che John Zyman definì la scienza post-accademica: quella della frontiera infinita di Vannevar Bush, dello sviluppo della Big Science, dei sempre maggiori intrecci fra ricerca, politica e industria. Quella degli stati che da mecenati della scienza ne diventano i committenti, della società del rischio e della fine della presunta neutralità degli scienziati.

La fantascienza della Golden Age era una fantascienza positivista, permeata dal sense of wonder nei confronti della scienza e della tecnologia, grazie alla quale l’uomo avrebbe potuto conoscere e controllare il mondo senza timore di effetti collaterali. Al suo interno c’erano però già i prodromi di un approccio più critico al rapporto fra società e progresso. Nel 1932, Aldous Huxley scrive un romanzo ambientato in un futuro non troppo remoto, immaginando una società anestetizzata e manipolata tramite la genetica, la biologia riproduttiva, il condizionamento psicologico e l’abuso di droghe. Nato come parodia delle utopie di H. G. Wells, Brave New World è diventato una delle principali distopie letterarie, seguito da 1984 di George Orwell (pubblicato nel 1948) e da Fahrenheit 451 di Ray Bradbury (1953).

La corrente sociologica e pessimista della fantascienza prende così il sopravvento, passando dalla New Wave di Moorcock, Ballard e Le Guin al cyberpunk di Gibson e Sterling. Fino ad arrivare a oggi, dove gli elementi distopici e post-apocalittici sono diventati predominanti, tanto da conquistare anche la narrativa commerciale per ragazzi. Tanto da spingere qualche autore a reagire.

Nel 2011 nasce Project Hieroglyph, fondato dallo scrittore americano Neal Stephenson e amministrato dal Center for Science and the Imagination dell’Università dell’Arizona. Scopo dell’iniziativa è di riportare nella fantascienza contemporanea un po’ di fiducia nella capacità della scienza e della tecnologia di migliorare il nostro futuro. Stephenson cita alcune iconiche invenzioni come i satelliti di Arthur Clarke o il cyberspazio di William Gibson e immagina una fantascienza in grado di ispirare gli innovatori del domani. Un manifesto politico e sociale prima ancora che letterario.

Nel 2015, Microsoft invita un gruppo di scrittori nei suoi laboratori di ricerca. Lo scopo? Ispirare un’antologia di racconti che viene poi distribuita gratuitamente. Nel giugno 2017, la fondazione no-profit XPRIZE, che incoraggia uno sviluppo tecnologico benefico per l’umanità, raccoglie 64 scrittori, registi, produttori e sceneggiatori nel Science Fiction Advisory Council, con l’obiettivo di immaginare futuri possibili, realistici e ottimisti. Un’iniziativa che include nomi di grosso calibro come Darren Aronofsky, Bruce Sterling, Margaret Atwood, Cory Doctorow, David Goyer, Veronica Roth.

Il caso cinese
Bandita per ben due volte, la prima negli anni ’60 della Rivoluzione Culturale, la seconda nel 1983 in quanto fonte di “inquinamento spirituale”, la fantascienza cinese ha attraversato momenti di sviluppo – in genere coincidenti a periodi di relativa tranquillità politica – e fasi di declino. Finché, nel 2007, si è svolta la prima convention di Fantasy e Fantascienza ufficialmente approvata dal Partito Comunista Cinese. Fra i presenti anche lo scrittore britannico Neil Gaiman, che chiese a un importante funzionario come mai l’atteggiamento del Partito nei confronti della fantascienza fosse cambiato. La risposta fu che i governanti cinesi si erano resi conto che il loro paese non era in grado di innovare e così avevano mandato una delegazione negli Stati Uniti per studiare da vicino le persone che lavoravano in aziende come Google, Microsoft, Apple: molti di loro erano lettori di fantascienza.

L’innovazione occupa un posto centrale nelle strategie di sviluppo cinesi. Il primo ministro Li Keqiang l’ha citata 61 volte nel discorso tenuto all’Assemblea nazionale del popolo nel 2016. In quel discorso, con il quale presentava il piano quinquennale di sviluppo economico, Keqiang ha annunciato le priorità del Paese del Dragone per quanto riguarda la scienza: l’aumento degli investimenti in ricerca e sviluppo, con l’obiettivo di passare dal 2,05% del PIL nel 2014 al 2,5% entro il 2020; la diminuzione delle barriere burocratiche per i ricercatori; una riduzione del 18% delle emissioni di anidride carbonica e del 15% del consumo di energia; il raddoppio della produzione di energia nucleare. Oltre allo spazio, i progetti scientifici in cima all’agenda cinese riguardano neuroscienze e genetica, cybersicurezza, robotica, big data.

E qui entra in gioco anche la fantascienza. Il sostegno governativo alla kē huàn, il termine che in mandarino indica la science-fiction, va infatti di pari passo al crescente investimento cinese nella divulgazione scientifica (kēxué pǔ jí, abbreviato kepu), alla quale nel 2015 sono stati destinati circa due miliardi di dollari.  “In Cina, la narrativa mainstream è ancorata alle realtà rurali e a una visione nostalgica del passato, e non è più capace di intercettare il presente”, spiega al Tascabile Francesco Verso, scrittore e cofondatore del progetto editoriale indipendente Future Fiction, con il quale ha curato la pubblicazione di racconti di autori da diverse parti del mondo, Cina inclusa. “La fantascienza, al contrario, riesce a parlare del presente e a rivolgersi a quei milioni di cinesi che abbandonano le campagne per trasferirsi in città. E lo fa in maniera diversa da quanto avviene in Occidente, senza usare vecchi stereotipi post-apocalittici e distopici, che da noi sono diventati la normalità, se non addirittura un trend commerciale, perdendo così la loro potenza critica e sovversiva”.

Francesco Verso conosce da vicino la fantascienza cinese. Nel 2017 Future Fiction ha pubblicato Nebula, un’antologia di racconti che parlano dell’impatto dei social network, dell’invecchiamento della popolazione, dell’istruzione di massa e di cambiamenti climatici. Grazie alla sua attività di divulgazione della science-fiction del Paese del Dragone, a novembre Verso è stato invitato a partecipare alla quarta edizione della Science Fiction and Fantasy Conference tenutasi a Chengdu, nella provincia del Sichuan. Un evento fortemente supportato, a livello economico, accademico e politico.

Un simile entusiasmo governativo non può che generare qualche perplessità, visto l’atteggiamento della Cina nei confronti della libertà di parola. Eppure, il fatto di parlare di società che (ancora) non esistono, consente alla fantascienza una maggiore libertà espressiva. Prendiamo Wu Yan, per esempio. Professore di letteratura e scienze dell’educazione all’Università Normale di Pechino, nel suo racconto su Nebula parla proprio di istruzione, muovendosi al confine fra realtà e finzione, e criticando un sistema scolastico estremamente competitivo e burocratizzato: “…nell’incessante spinta di distruzione del passato e costruzione del futuro, ogni qualvolta si entra in una zona inabitata in nome dello sviluppo, i confini del vecchio sistema vengono infranti. Chi viene lasciato indietro può criticarti, investigarti, accusarti, e perfino processarti”.

Un altro esempio è la Pechino pieghevole di Hao Jingfang, una megalopoli che, nel Ventiduesimo secolo, è in grado di piegarsi in modo da garantire più luce e spazio a chi se la merita. Cioè la classe dirigente. Jingfang ha 32 anni ed è una ricercatrice in macroeconomia che lavora in uno dei dipartimenti del Concilio di Stato, dove si occupa di sviluppo e progresso sociale.

Finalmente, grazie anche a iniziative come quella di Future Fiction, la fantascienza cinese comincia ad arrivare in Italia. Anche un grande editore come Mondadori è entrato in gioco, pubblicando a fine ottobre Il problema dei tre corpi, di Liu Cixin, primo asiatico a vincere il Premio Hugo, nel 2015. Un romanzo, citato anche da Barack Obama in un’intervista al New York Times, che combina suggestioni postcoloniali e tematiche scientifiche – quello dei tre corpi è un problema della meccanica classicamolto sfruttato nell’astrodinamica – nel quale, come scrive Vincenzo Latronico su Esquire, “gli alieni distanti non sono che uno strumento o un pretesto per una resa dei conti tutta interna all’umanità”.

Il controesempio arabo
Il rapporto fra scienza, fantascienza e progresso sta segnando anche il mondo arabo, anche se con dinamiche ben più complesse e articolate del caso cinese. Secondo l’UNESCO science report, pubblicato nel 2015, pur essendo ancora lontani dai livelli raggiunti da USA, Europa e BRICS, i paesi arabi hanno fatto progressi negli investimenti nella ricerca, nelle strategie di innovazione e nel trasferimento tecnologico, guidati da Marocco, Tunisia, Arabia Saudita ed Egitto. Parallelamente, anche la produzione fantascientifica araba sembra essere in costante aumento, ma i toni prevalenti sono quelli distopici.

“Quello della distopia, con scenari anche ai limiti dell’apocalittico, è un tema in pieno sviluppo nella fantascienza araba”, spiega Ada Barbaro, docente di lingua e letteratura araba presso l’Università di Napoli L’Orientale, che nel 2013 ha pubblicato con Carocci La fantascienza nella letteratura araba. “Molti dei romanzi recenti che lo affrontano nascono all’indomani delle primavere arabe, perché vanno a esprimere la disillusione che molti, sia fra gli intellettuali sia fra la popolazione, hanno avvertito nei confronti di queste rivoluzioni, le cui conseguenze si sono poi rivelate nefaste, portando all’instabilità politica in molti paesi, o al riemergere di realtà dittatoriali”.

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