Le foreste di fuoco di Hyperion

Art from yehuna (DeviantArt)

Art from yehuna (DeviantArt)

Rileggendo il mio post su scienza e generi narrativi mi è tornato in mente il ciclo di Hyperion. L’avete presente? Il primo romanzo di questa saga è costituito da una trama principale su cui si innestano sei racconti, ciascuno narrato da un diverso protagonista, tipo I racconti di Canterbury (non sono io che faccio il colto, è Wikipedia che suggerisce). L’ambientazione è indubbiamente fantascientifica: miriadi di pianeti, viaggi interstellari, intelligenze artificiali. Un trionfo di space opera, insomma. E a livello di scienza?

Astronomia e ingegneria abbondano, ma ci sono delle sensazionali idee biologiche, dal pianeta-foresta Bosco Divino alle isole mobili viventi di Patto-Maui. Ma la mia preferita è senza dubbio quella degli alberi-Tesla: piante in grado di accumulare elettricità in determinate stagioni per poi rilasciarla in altre, sotto forma di archi di fulmini che inceneriscono ogni cosa nei dintorni. Bella roba, alberi che distruggono tutto, e quindi? Attenzione, la forza dell’idea, secondo me, non sta tanto negli alberi in sé, ma nell’ecosistema nel quale Dan Simmons li immerge: le ceneri prodotte dalle scariche fungono da fertilizzante e intorno a queste pericolosissime piante se ne sono evolute altre come le fenici o le fruste di fuoco, in grado di sopravvivere in un ambiente naturale che definire ostile è dire poco. Ecco quindi che con un pizzico di scienza salta fuori un’ambientazione credibile e originale, che si rivela ottima come setting per un viaggio avventuroso e come motore di diversi eventi narrativi.

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