La scienza tarantiniana di Neal Stephenson

A ottobre, Oggiscienza ha ospitato uno speciale sulla scienza nella fantascienza e mi hanno chiesto di scrivere qualcosa. Io mi sono fatto prendere la mano e ho prodotto un po’ di roba, che ora ripropongo qui. Il primo pezzo era su Neal Stephenson, che se non sapete chi è fareste bene a informarvi.

Neal Stephenson non è certo uno di quelli scrittori di fantascienza che vanno per il sottile. Leggendo i suoi libri si finisce inevitabilmente con l’affrontare lunghe spiegazioni tecniche o storiche su come funzioni un certo strumento o come si sia arrivati a un determinato contesto socio-politico. Prendete Anathem, per esempio. Uscito nel 2008, il romanzo è ambientato su un pianeta simile alla Terra dove la società umana è divisa in due componenti che interagiscono solo in specifiche occasioni: il mondo matico, costituito da comunità di monaci-scienziati (chiamati avout), e il mondo secolare.

La storia è raccontata in prima persona da un giovane avout, tramite il quale il lettore viene introdotto alle particolari leggi che regolano il mondo matico e alla sua storia, in relazione a quella del pianeta. Un’introduzione necessaria per calarsi nella ricca ambientazione inventata da Stephenson. Un’introduzione lunga circa metà libro (e stiamo parlando di un tomo di più di 900 pagine). Una prova talvolta faticosa, nel corso della quale l’autore enuncia teorie matematiche, introduce elementi di astronomia, ripropone il dibattito filosofico fra realismo platonico e nominalismo – chiamandoli in altro modo – e si avventura nell’interpretazione a molti mondi della meccanica quantistica. Il resto del libro prende le mosse da questo background per dare sostanza e credibilità a una classica storia di fantascienza.

Insomma, Stephenson non è uno scrittore facile e non ha certo paura di spaventare il lettore. Bisogna essere pronti per affrontare un suo libro. Per fortuna, la ricompensa è sempre notevole.

Cresciuto nel Maryland fra scienziati e ingegneri, laureatosi in geografia e con una passione per la matematica, la crittografia, la filosofia e la storia della scienza, Stephenson è uno di quegli autori la cui produzione narrativa è fortemente contaminata dalla passione per le discipline scientifiche. Per l’autore americano, la scienza non è solo una fonte di spunti, ma anche e soprattutto uno strumento grazie al quale costruire cornici narrativi di grande ricchezza.

The Diamond Age: Or, A Young Lady’s Illustrated Primer è uno dei suoi libri più famosi. Uscito nel 1995 e vincitore dei premi Hugo e Locus, il romanzo è ambientato in un futuro non troppo lontano, caratterizzato da un’esplosiva rivoluzione nanotecnologica e da una struttura sociale basata su diverse “tribù”. In questo contesto, Stephenson scatena un intreccio ricco e complesso, con due diversi piani narrativi – quello reale e quello di un libro interattivo letto dalla protagonista – nel quale finiscono intelligenze artificiali, macchine di Turing, relativismo culturale e molti altri spunti. Se la sua vorticosa immaginazione è a volte fuori controllo, la sua scrittura non lo è mai. Ciò che colpisce è la sua capacità di adattare il proprio stile alla storia che sta narrando; libri diversi sono scritti in maniera diversa. E si parla sempre di scrittura di alto livello, sia quando è talmente vulcanica da rischiare di distrarre l’attenzione dai contenuti, sia quando invece si fa da parte per lasciarli risaltare, fino a diventare quasi anonima nella sua asciuttezza.

Cose da leggere subito.

L’opera che l’ha reso celebre – nonché, forse, una delle sue migliori – è Snow Crash, un romanzo del 1992 che pesca a piene mani dal cyberpunk per poi fare diversi passi avanti. Siamo di nuovo in un futuro piuttosto vicino, quasi interamente privatizzato da piccole e grandi corporazioni, e minacciato da un virus molto particolare, in grado di diffondersi attraverso una rete virtuale che funziona come un Second Life all’ennesima potenza. L’azione è frenetica e il linguaggio si adatta di conseguenza. Abile costruttore di dialoghi e appassionato di cultura pop, Stephenson in questo libro si merita fino in fondo l’aggettivo “tarantiniano” e, mentre ci delizia con il suo cyberpulp, ci propone una serie di splendide trovate, sia narrative sia scientifiche. Riuscire a combinare neuroscienze, informatica e archeologia inventandosi un’impresa di hacking neurolinguistico risalente ai Sumeri non è cosa da poco ma Stephenson ci riesce, rendendo il tutto credibile e coerente. Merito del suo grande talento di scrittore, ma anche della sua capacità di sfruttare tanto il grande potere evocativo della scienza, quanto la sua forza esplicativa.

Le sue opere sono infatti la prova di come, nelle mani di un autore di alto livello, le teorie e le conoscenze scientifiche possano diventare uno strumento narrativo di grande efficacia. Sia per lo stupore e la meraviglia che sono in grado di evocare, sia per la coerenza interna che possono dare a una trama. Due caratteristiche fondamentali per dare vita a quel sense of wonder di cui la fantascienza si nutre.

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