La maggior parte dei mammiferi moderni sono piuttosto adattabili, a livello sensoriale, all’attività notturna. Vale anche per le specie strettamente diurne e molti studiosi considerano questa capacità un retaggio derivante dai primi mammiferi nel Mesozoico, la cui attività notturna consentiva loro di evitare di interagire con i dinosauri diurni che dominavano quell’era.
Questa ipotesi è supportata da osservazioni morfologiche e anatomiche, e anche da alcuni studi molecolari, ma si tratta comunque di prove indirette. Ricostruire le abitudini e gli schemi comportamentali di mammiferi vissuti decine di milioni di anni fa non è facile e la scarsa – e non sempre facile da interpretare – documentazione fossile non semplifica la vita dei ricercatori.
Recentemente, un nuovo studio sembra aver portato nuova linfa a sostegno di questa ipotesi. In un articolo pubblicato su Nature Ecology & Evolution, un gruppo di studiosi inglesi e israeliani ha riportato i risultati di uno studio da loro condotto su un database di 2415 specie di mammiferi, che rappresentano 135 delle 148 famiglie esistenti, con lo scopo di indagare come si comportavano i primi mammiferi e quando hanno iniziato a diventare diurni.
I ricercatori hanno ripartito le specie in cinque categorie in base alla loro attività – notturna, diurna, catemerale (animale attivo in brevi intervalli durante il giorno), crepuscolare, ultradiana (animale attivo in cicli di poche ore) – e svolto una serie di analisi basate sui rapporti di “parentela evolutiva” fra le specie moderne. Queste analisi sono state effettuate utilizzando specifici algoritmi informatici e hanno consentito di confrontare due diverse ipotesi di storia evolutiva, ricavate da studi precedenti.