Distopie e catastrofismo da tempo rappresentano una delle correnti dominanti della fantascienza, sulla scia di padri illustri come Orwell, Bradbury e Huxley. Peccato che la lucidità critica e la forza di rottura di questi autori – e di diversi che li hanno seguiti – sia stata normalizzata e incanalata in quello che è diventato un facile trend commerciale, che si allinea a un certo pessimismo diffuso senza offrire nulla di davvero nuovo. Esistono però approcci che si ribellano a queste narrazioni dominanti e reagiscono cercando strade diverse. Approcci che vanno dal progetto Hieroglyph alla rinata fantascienza cinese, fino al solarpunk.
Derivativo del cyberpunk, il solarpunk non è soltanto un genere letterario ma anche un manifesto, un movimento speculativo e controculturale che si oppone a un futuro dominato da «anziani in grandi città impauriti dal cielo», come prevede lo scrittore (e co-fondatore del cyberpunk) Bruce Sterling. Andrew Dana Hudson, scrittore e membro del Center for Science and the Imagination dell’Università dell’Arizona, lo definisce «uno sforzo collaborativo per immaginare e progettare un mondo di prosperità, pace, sostenibilità e bellezza, raggiungibile con ciò che abbiamo e da dove siamo adesso» nel saggio che apre Solarpunk: Come ho imparato ad amare il futuro, una raccolta di racconti pubblicata da Future Fiction e curata dal suo cofondatore e scrittore Francesco Verso.
Come sottolinea nell’introduzione lo scrittore Fabio Fernandes, «Non si tratta di mostrare una società composta da shiny happy people, ma da persone che si occupano del qui e ora e, di conseguenza, del futuro». Quelle solarpunk sono storie che osano essere ottimiste e che ambiscono a raccontare realtà sfaccettate, dove la soluzione non è una panacea tecnologica – espressione di un tecno-ottimismo rivelatosi illusorio – ma il risultato di scelte politiche sfumate e complesse. Agire, per un solarpunk, non significa distruggere, fare tabula rasa e ripartire da zero, ma piuttosto riutilizzare e rinnovare; significa opporsi a una politica anziana e statica ma anche imparare a conviverci, creando quelle che Hudson chiama «sacche di progresso e immaginazione»; significa farsi strada nelle crepe di una società decadente, facendo crescere alberi nelle spaccature dell’asfalto; significa – ricorrendo di nuovo alle parole di Hudson – «Incoraggiare una resilienza che isoli paesi e quartieri dagli shock economici. Instaurare patti di mutuo soccorso che proteggano i membri dalla predazione fiscale».