Da Oggiscienza, 12 dicembre 2018
Il 3 maggio del 2019 tutte le persone con più di diciassette anni e mezzo rimangono bloccate, sospese in un limbo di minime funzioni vitali, incapaci di muoversi e di reagire. Molti muoiono nei tanti incidenti che la loro immobilità comporta mentre tutti gli altri restano dove sono, inquietanti manichini dagli sguardi vitrei fra i quali si muovono i sopravvissuti, ragazzi e ragazze travolti da un cambiamento così radicale.
Questa è l’idea, semplice e potente, alla base di Millennials, il nuovo mondo, l’esordio letterario del collettivo La Buoncostume – composto da Carlo Bassetti, Simone Laudiero, Fabrizio Luisi e Pier Mauro Tamburini, registi, autori e attori specializzatisi nella realizzazione di serie per il web e la tv.
La fantascienza è una letteratura di idee. Lo scriveva Philip Dick, per il quale «l’idea è il vero eroe», e ne era convinta Ursula Le Guin. Lo affermava Isaac Asimov, così come molti studiosi e critici – inclusi i detrattori, per i quali è una letteratura fatta solo di idee e non di qualità della scrittura. «Praticamente ogni storia compresa nell’Albo d’oro della fantascienza, se sezionata a dovere, rivelerà in fondo un’unica idea. Nella fantascienza l’idea divenne sovrana; la situazione era superiore al personaggio; il personaggio, una specie di veicolo purificato per l’idea»,scriveva nel 1975 James Gunn in Storia illustrata della fantascienza.
In uno dei book trailer che hanno realizzato per il lancio, gli autori avvertono che il loro non è un romanzo di fantascienza, bensì un distopico. Un’ironica provocazione, ovviamente, perché Millennials attinge a piene mani dalla fantascienza, soprattutto dalla cosiddetta mundane sci-fi, cioè quel sottogenere che si concentra su futuri prossimi e ambientazioni terrestri piuttosto che su viaggi intergalattici e incontri con extraterrestri.
Il romanzo è ambientato quattro anni dopo il Blocco; passata l’iniziale euforia, i sopravvissuti si sono messi all’opera per costruire una nuova società basata sulla partecipazione e la condivisione, la cui architrave è una piattaforma open source chiamata syn, una sorta di Reddit che ha preso il posto del World Wide Web. La tecnologia e il suo impatto sociale rivestono un ruolo importante in Millennials e gli autori danno ampio spazio alla caratterizzazione di questo mondo nuovo, raccontando le assemblee, l’utilizzo delle risorse energetiche, la dialettica delle discussioni online, e la conseguente gestione dell’economia e della reputazione. Quello che emerge è un processo di worldbuilding molto ragionato, che viene trasmesso al lettore non con pesanti intermezzi di infodump ma tramite frammenti di dialoghi e riflessioni dosate con cura, che quindi facilitano l’immersione nell’ambientazione senza appesantire il ritmo narrativo.
Anche il riferimento al genere distopico è una provocazione; sconvolta da un evento innegabilmente catastrofico, la società raccontata in Millennials non ha subito derive totalitarie né è regredita a uno stato di barbarie tribale, ma ha invece reagito cercando l’aggregazione. Quella che emerge non è una natura umana ferale, aggressiva e ontologicamente malvagia; non siamo dalle parti di Machiavelli, Hobbes o Schopenhauer e non c’è bisogno di governi forti, gerarchici e punitivi per governare il nuovo mondo. Che quindi, nonostante il nome, è ben diverso da quelli ipotizzati da Huxley o da Orwell. Niente Grande Fratello, niente bispensiero, niente dittature.
Si può dunque parlare di utopia? Dipende da cosa si intende con questo termine. Di certo, quello rappresentato in Millennials non è un “un assetto politico, sociale, religioso che non trova riscontro nella realtà ma che viene proposto come ideale e come modello”. Non è un’idealizzazione politico-filosofica come la Repubblica di Platone o le utopie rinascimentali, né tanto meno un sogno progressista e razionale come la New Atlantis baconiana.
Circondati dalle apocalissi, dalle catastrofi climatiche, dalle società che crollano o diventano oppressive, dai deserti radioattivi, e dalle metropoli cupe e violente delle tante– troppe – distopie che hanno ormai fagocitato gran parte della fantascienza (e non solo), ci siamo abituati a guardare all’utopia come a una parente sempliciotta e un po’ naïve delle narrazioni contemporanee, fatta di bei sogni incapaci di reggere il confronto con la cruda realtà.
Di realtà però, nel romanzo della Buoncostume ce n’è parecchia. La nuova società post-Blocco non è idilliaca, ci sono contraddizioni e tensioni, rivalità e atti di spionaggio, ci sono comunità indipendenti e ampie terre di nessuno, c’è chi detta legge perché ha il controllo di una centrale idroelettrica e chi si riunisce in squadre di razziatori.
È un mondo pericoloso, dunque, più di quello precedente. Ma,come afferma uno dei personaggi, «sempre meno. Le squadre stanno scomparendo, e le comunità crescono. Decine di migliaia di comunità sparse in tutto il mondo,collegate dal syn e da altre piattaforme minori. Comunità basate sull’inclusione, sulla partecipazione e sulla cura. E se non partecipi nessuno viene a romperti le palle.
Salvo alcune eccezioni, non c’è una violenza dilagante, una ragazza può viaggiare da sola affidandosi più al tatuaggio che la identifica come un medico che al suo fucile (scarico), i razziatori non sono i selvaggi di Mad Max o i bruti violenti di Kenshiro, e le foreste non sono cuori di tenebra pullulanti di congreghe più o meno folli come nella Festa Nera di Violetta Bellocchio.
Inquadrare Millennials all’interno di una dicotomia utopia/distopia rischia quindi di non rendere giustizia alla complessità che gli autori riescono a rappresentare, anche grazie a una struttura corale che consente di raccontare le vicende da diversi punti di vista. Ogni capitolo è infatti dedicato a un personaggio, le cui parole, azioni e riflessioni sono espresse con una terza persona pulita e scorrevole, né troppo asciutta né troppo ricercata. Una scelta stilistica che ben si adatta sia ai dialoghi, frequenti e spesso rivelatori del carattere dei personaggi, sia all’introspezione, sia ai momenti d’azione, che si fanno più intensi nella seconda parte del libro. Quando cioè la componente più “fantastica” della storia emerge con forza.
Quando lei, Moh e gli altri avevano scoperto le prime fluttuazioni nei valori dei bloccati e avevano pensato che potessero essere collegate a un aumento delle attività neurologiche e linfatiche, erano stati i primi a essere sbigottiti dall’idea che i bloccati, da un lato all’altro del pianeta, potessero aver cominciato a svegliarsi.
Nessuno sa cosa abbia provocato il Blocco ma i più attenti fra i giovani studiosi del fenomeno si sono accorti che qualcosa sta cambiando. Cosa è rimasto – dopo quattro anni di stasi – di madri, padri, fratelli e sorelle? E che ne sarà del mondo nuovo se dovessero tornare gli adulti? In queste due domande c’è l’essenza del dilemma di una società divisa fra la nostalgia degli affetti passati e il timore di perdere tutto ciò per cui si è lottato.
Adesso hai una squadra. Comandi delle persone, e sei brava. Sei una delle più brave. Ma se tornassero gli adulti saresti una studentessa al terzo anno di liceo.
Qui entrano in gioco tensioni e segreti, in un dibattito che diventa un’interessante riflessione sulla società del rischio, sulla gestione della paura, sugli allarmismi e sul bisogno di trasparenza. Riflessione che trova il suo fulcro in Stella, brillante studiosa dei Bloccati, e in Francesco Barzanti, leader sfaccettato e costantemente alle prese con le difficoltà del comando; non un tiranno ma una persona consapevole delle proprie responsabilità e deciso a fare la cosa giusta, pronto a scusarsi per gli errori suoi e di altri.